“Una volta Gianni Brera, parlando di uno sportivo, un ciclista, notava che era nato e vissuto in provincia: solo in provincia, scriveva, si coltivano le grandi malinconie, il silenzio e la solitudine indispensabili per riuscire in uno sport così faticoso. Non è così anche per lo studio?”
Marco Belpoliti
Le norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti sono disciplinate dalla Legge 91 del 1981 sviluppata in 4 Capi e 17 articoli.
Gli sportivi professionisti, vengono qualificati dall’art, 2 che lascia alle singole federazioni la discrezione ed il discrimine tra professionisti o dilettanti: “gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal coni e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal coni, per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”
L’art. 3 individua la prestazione dello sportivo : “ La prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato regolato dalle norme contenute nella presente legge. Essa costituisce, tuttavia, oggetto di contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti: a) l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo; b) l’atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento; c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno.“
L. art. 4. Disciplina il lavoro subordinato dello stesso: “Il rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto, conformemente all’accordo stipulato, ogni tre anni dalla federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate. La società ha l’obbligo di depositare il contratto presso la federazione sportiva nazionale per l’approvazione. Le eventuali clausole contenenti deroghe peggiorative sono sostituite di diritto da quelle del contratto tipo.
Nel contratto individuale dovrà essere prevista la clausola contenente l’obbligo dello sportivo al rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici. Nello stesso contratto potrà essere prevista una clausola compromissoria con la quale le controversie concernenti l’attuazione del contratto e insorte fra la società sportiva e lo sportivo sono deferite ad un collegio arbitrale. La stessa clausola dovrà contenere la nomina degli arbitri oppure stabilire il numero degli arbitri e il modo di nominarli. Il contratto non può contenere clausole di non concorrenza o, comunque, limitative della libertà professionale dello sportivo per il periodo successivo alla risoluzione del contratto stesso né può essere integrato, durante lo svolgimento del rapporto, con tali pattuizioni.”
Che succede in Italia
Come si evince dalle norme integralmente riportate il “lavoro sportivo professionistico” è riconducibile all’ambito del rapporto di lavoro subordinato, tuttavia, a determinate condizioni, la prestazione si qualifica come lavoro autonomo.
Inquadrato come lavoro subordinato, la tassazione dei relativi redditi avviene in ossequio alle disposizioni recate dall’art 51 e ss. del TUIR: il reddito percepito dall’atleta professionista, in denaro o in “kind o fringe benefit”, sarà assoggettato ad imposizione reddituale tramite ritenute alla fonte applicate dalla società sportiva, in qualità di sostituto d’imposta.
Come per i lavoratori dipendenti, sono assoggettati ad IRPEF le somme ed i valori percepiti in relazione allo svolgimento del rapporto di lavoro sportivo, come gli stipendi, i compensi in natura ed i premi aggiuntivi corrisposti direttamente dalla società sportiva di appartenenza.
I premi legati al risultato sportivo
Tali compensi sono da considerarsi alla stregua dei redditi di lavoro autonomo, con conseguente applicabilità delle ritenute alla fonte a titolo di acconto previste dall’art. 24 del DPR n 600/1973 per detta tipologia di redditi, così come disciplinato dall’art.3, c. 2, lettera a) della L. n 91/1981.
I compensi legati allo sfruttamento dell’immagine
Altre fattispecie di reddito imponibile in capo agli sportivi professionisti è quello che riguarda lo sfruttamento dei loro diritti di immagine degli atleti professionisti, i cui proventi vengono normalmente convogliati in società specializzate nella relativa gestione in esclusiva (società sponsor).
Circa i beni assegnati agli atleti in virtù di contratti con gli sponsor l’Agenzia delle Entrate con la circ. 37/E/2013 prevede che il valore di tali beni rientri tra i redditi da lavoro dipendente, salva la previsione contrattuale della restituzione degli stessi. In tal caso la ripresa a tassazione avverrà esclusivamente in caso di mancata restituzione.
I corrispettivi degli atleti professionisti connessi allo sfruttamento dell’immagine, sebbene percepiti da dette società sponsor, rappresentano integrazioni stipendiali, assoggettabili a ritenuta alla fonte da parte della società sportiva.
Sono qualificate prestazioni da lavoro autonomo; ad esempio, quelle svolte in eventi sportivi internazionali con la Nazionale. Secondo giurisprudenza prevalente si è affermato che tali specifici compensi, non originati dal rapporto di lavoro con la società sportiva di appartenenza, non sono qualificabili tra i redditi da lavoro dipendente.
A suggello di tale posizione le sentenze della Cassazione del 1° marzo 1990, n. 1549, del 20 aprile 1990, n. 3303 e del 14 giugno 1999, n. 5866, che, in senso contrario a quanto esposto dall’Agenzia delle Entrate, hanno escluso la possibilità che il rapporto di lavoro dipendente in essere con il “club sportivo” possa permanere anche quando il professionista svolga episodiche attività sportive a favore della Federazione nazionale: nonostante non sia in ogni caso possibile ipotizzare l’esistenza di un distacco dell’atleta/lavoratore da parte della società sportiva a favore della Federazione nazionale.
A tale conclusione si giunge, in vero, anche analizzando il citato art 3 al c. 2il quale, individua le caratteristiche affinché i compensi ricevuti dall’atleta professionista siano ricondotti nell’ambito del reddito di lavoro autonomo, le quali attengono sostanzialmente alle modalità temporali di resa delle prestazioni sportive a favore della società sportiva; e sono individuabili come segue:
- Mancanza di obblighi di frequenza delle sedute di allenamento;
- Prestazione di attività per una singola manifestazione o per più eventi tra loro collegati;
- Disponibilità continuativa a favore della società sportiva per un tempo non superiore a otto ore settimanali (oppure a cinque giorni al mese, o a trenta giorni all’anno).
In presenza di tali condizioni l’attività sportiva così prestata è classificabile come lavoro autonomo ed i redditi percepiti saranno soggetti a ritenuta alla fonte da parte dell’ente erogante, da determinarsi ex art. 24 del DPR 600/73.
Nonostante la riconducibilità al lavoro autonomo, i compensi connessi alla resa di prestazioni da parte di atleti professionisti che non siano vincolati da rapporti di lavoro subordinato non sono imponibili ai fini Irap.
Ciò deriva dalla duplice circostanza sia dell’assenza dell’autonoma organizzazione sia della tipologia di prestazione lavorativa non assimilabile all’esercizio di arti e professioni ai sensi dell’articolo 53, comma 1, DPR n 917/86.
Che succede allo sportivo residente in Italia che produce reddito all’estero
Nei casi in cui un’atleta professionista, fiscalmente residente in Italia svolge una prestazione all’estero e riceve un compenso per tale prestazione, viene a rilevanza la natura dell’attività, obiettivamente considerata, il luogo in cui viene svolta e se per tale attività lo sportivo percepisce un compenso, mentre indipendentemente dalla configurazione giuridica che riveste il soggetto attraverso cui viene posta in essere l’attività stessa.
A ciò si aggiunge l’esigenza di assoggettare a tassazione nello Stato, in cui si manifestano le prestazioni sportive, i redditi realizzati in un ristretto arco temporale e la prevenzione di fenomeni elusivi quali l residenza negli Stati contraddistinti da una favorevole pressione fiscale.
La sintesi dei molteplici interessi in premessa è contemperata dall’art. 17 del Modello OCSE che disciplina i redditi percepiti dagli sportivi professionisti a prescindere dalla natura del rapporto di lavoro e contemporaneamente protegge lo sportivo professionista affinché non subisca la doppia imposizione.
Il primo paragrafo recita: “nonostante le disposizioni degli articoli 14 e 15…, i redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dalla sue prestazioni personali esercitate nell’altro stato contraente in qualità di artista dello spettacolo …. nonché di sportivo sono imponibili in detto altro Stato”.
In deroga agli art. 14 e 15, pur in assenza di una base fissa e/o di un periodo minimo di permanenza nello Stato della fonte, i proventi conseguiti dagli atleti professionisti sono imponibili nello Stato in cui viene svolta l’attività da cui traggono origine.
Pertanto al fine di attenuare la doppia imposizione internazionale dei redditi conseguiti da sportivi fiscalmente residenti, l’Italia, in conformità da quanto stabilito dal Commentario utilizza il metodo del credito d’imposta, in base al quale il reddito di fonte estera conseguito dall’atleta professionista è imponibile in Italia, salvo il riconoscimento di un credito tendenzialmente pari alle imposte assolte all’estero sul medesimo reddito.
Gli sportivi professionisti percepiscono una vasta gamma di corrispettivi in varie forme che possono essere qualificati come redditi derivanti da attività professionale (art. 7), canoni (art. 12), redditi da lavoro dipendente (art. 15) ovvero redditi derivanti dall’attività sportiva professionistica (art. 17).
Il Comitato Affari fiscali dell’Ocse ha deciso di far rientrare solo ed esclusivamente i redditi direct linked all’esibizione sportiva. Sulla base del Commentario, deve dunque ritenersi applicabile l’art. 17 ai redditi percepiti dall’atleta professionista per l’attività propriamente sportiva svolta in un determinato Stato.
Ne deriva che in assenza di un rapporto di dipendenza diretta tra l’attività esercitata e il reddito conseguito, la norma convenzionale applicabile non deve essere ricercata nell’art. 17 ma in alti articoli
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